IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente odinanza nella causa civile iscritta al n.
 323/1990  del  ruolo   generale,   promossa   da   Ferraro   Michele,
 rappresentato  e  difeso per mandato in atti dall'avv. Giuseppe Nico;
 contro  fallimento  Cantine  Giaffreda,  in  persona   del   curatore
 pro-tempore,  rappresentata  e  difesa  per mandato in atti dall'avv.
 Francesco D'Ambrosio.
   All'udienza collegiale del 14 febbraio 1997,  i  procuratori  delle
 parti,  rilevato che il collegio era costituito con la partecipazione
 del dott. Giuseppe Martino, vice  pretore  onorario,  hanno  eccepito
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 90, comma 5, della legge 26
 novembre  1990,  come modificato dall'art. 9 d.-l. 18 ottobre 1995 n.
 432,  convertito in legge 20 dicembre 1995, n. 534:
   Tale norma prevede che:
     per sopperire alla finalita' dell'esaurimento delle  controversie
 civili  pendenti,  il  presidente  del  tribunale    puo' disporre le
 supplenze di cui all'art. 105 del r.d. 30 gennaio 1941  n.  12  (ord.
 giudiziario), anche in assenza delle condizioni ivi previste.
   Tale finalita' costituisce particolare esigenza di servizio ai fini
 della  nomina  di due vice-pretori onorari ai sensi dell'art.  32 del
 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12.
   Il citato art. 105 stabilisce che se in  una  sezione  manca  o  e'
 impedito  alcuno  dei  giudici  necessari  per costituire il collegio
 giudicante, il presidente del tribunale o chi ne fa le  veci,  quando
 non  puo'  provvedere a norma dell'art. 97 (cioe' mediante il ricorso
 alla supplenza), delega un pretore o  un  vice-pretore  della  stessa
 sede.
   L'art.   32  dell'ordinamento  giudiziario  come  sopra  richiamato
 attiene ai criteri di nomina dei vice-pretori onorari e  alla  durata
 dell'incarico  e sancisce che non possono essere nominati piu' di due
 vice pretori in una stessa pretura,  salvo  particolari  esigenze  di
 servizio.
   Premessi  questi brevi richiami normativi, occorre fare riferimento
 all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo cui  "nel  caso
 di un giudizio dinanzi a un'autorita' giurisdizionale una delle parti
 o  il  pubblico ministero possono sollevare questione di legittimita'
 costituzionale  mediante  apposita  istanza,   indicando:   a)   ''le
 disposizioni  della  legge  dello  Stato o di una regione, viziate da
 illegittimita'   costituzionale'';   b)   ''le   disposizioni   della
 Costituzione o delle leggi costituzionali che si assume violate''".
   "L'autorita'  giurisdionale,  qualora  il giudizio non possa essere
 definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale o non ritenga che la questione sollevata
 sia  manifestamente  infondata,  emette  ordinanza  con   la   quale,
 riferiti, i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la
 questione,  dispone  l'immediata  trasmissione  degli atti alla Corte
 costituzionale e sospende il giudizio in corso".
   Il presente giudizio non  puo'  essere  definito  indipendentemente
 dalla  risoluzione  della  questione  di legittimita' costituzionale,
 attenendo la stessa alla composizione del collegio giudicante.
   Detta questione, non puo' essere ritenuta manifestamente  infondata
 per i seguenti motivi:
     1)  violazione dell'art. 3 della Costituzione secondo cui tutti i
 cittadini sono uguali di fronte alla legge.
    Gli utenti  del  servizio  giustizia,  se  il  giudizio  e'  stato
 instaurato  dopo  il  30  aprile  1995 hanno la garanzia che la causa
 sara' trattata da un giudice togato. Altrettanto, invece, non e'  per
 le  cause  del  vecchio rito, cioe', pendenti alla data del 30 aprile
 1995, potendo in esse il collegio, risultare  composto  anche  da  un
 vice  pretore  onorario,  il  quale,  nella  maggior  parte  dei casi
 assumeva anche la veste di relatore-estensore, cosi'  sostituendo  il
 precedente  istruttore,  destinato  alla  trattazione  delle cause di
 nuovo rito.
   In altri termini nel secondo  caso,  e  solo  in  quest'ultimo,  la
 decisione  della  causa  potra'  essere  pronunziata  da  parte di un
 giudice collegiale composto da un membro il cui accesso non e'  stato
 sottoposto  al vaglio di un pubblico concorso, allo svolgimento di un
 periodo  di  tirocinio  e  alla  conseguente  valutazione,  reiterata
 periodicamente  della  idoneita'  al  compimento  e svolgimento delle
 funzioni giurisdizionali;
     2) violazione dell'art. 103 della Costituzione  secondo  cui  non
 possono  essere  istituiti  giudici straordinari o speciali, ma solo,
 presso gli organi  giudiziari  ordinari,  sezioni  specializzate  per
 determinate  materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei
 estranei alla magistratura.
   Nel caso di specie non ricorre il requisito della specialita' della
 materia,  che  avrebbe  consentito  l'istituzione  di   una   sezione
 specializzata  (vedi  ad  es.  la  sezione specializzata agraria, ove
 l'organo  collegiale  e'  integrato  con  la  partecipazione  di  due
 componenti   non  togati  esperti  nel  settore  agrario)  ma  si  e'
 provveduto  ad  istituire  un  giudice  che  puo'   essere   definito
 straordinario,  sia  perche'  diverso  da  quello  ordinario (giudice
 istruttore in funzione di giudice unico ovvero tribunale nelle  cause
 di  cui  all'art.  88,  della  legge  26  novembre 1990, n. 353), sia
 perche'   creato   al   solo   fine   di  "sopperire  alla  finalita'
 dell'esaurimento   delle   controversie   civili   pendenti",    come
 testualmente  affermato  dall'art.  9  d.-l.  18 ottobre 1995 n. 432,
 convertito  in  legge  20  dicembre   1995   n.   534,   modificativo
 dell'originaria  formulazione  del  comma  5  dell'art.  90, legge 26
 novembre 1990, n.  533, del seguente testuale tenore:  "il  tribunale
 giudica con il numero invariabile di tre votanti nei procedimenti che
 alla  data  di  entrata in vigore della presente legge gli sono stati
 rimessi ai sensi dell'art.  189 c.p.c.
   Trattasi in altri termini, di un giudice creato ad hoc,  destinato,
 da  un  lato, ad occuparsi delle controversie caratterizzate dal solo
 dato  temporale  della  loro  instaurazione  ad  una  certa  data  e,
 dall'altro,  a  cessare  con  l'esaurimento  di  dette  controversie,
 istituito in violazione del principio di precostituzione.
   Per molto tempo il divieto di istituzione di  giudici  straordinari
 e' stato identificato con il principio di precostituzione e cio' fino
 a  quando la giurisprudenza costituzionale e la dottrina formatasi su
 di essa hanno messo in rilievo la distinta funzione  che  e'  propria
 dell'art.  102  Cost. e dell'art. 25, primo comma Cost., che detta la
 garanzia del giudice naturale.
   In considerazione di cio' ben  si  comprende  come  il  divieto  di
 istituzione  di  giudici  straordinari  abbia  carattere  assoluto in
 quanto viene a  contraddire,  al  di  la'  dello  specifico  precetto
 costituzionale  che  lo stabilisce esplicitamente, tutta una serie di
 precetti che stanno alla base della nostra  civilta'  giuridica,  dal
 generale divieto di discriminazioni ad alcune delle principali regole
 specificamente proprie del processo giusto.
   Mentre  il  divieto di istituzione di giudice straordinari si fonda
 sull'esigenza di assicurare il rispetto dei principi fondamentali del
 sistema democratico, il divieto di istituzione di giudici speciali e'
 correlato  soltanto  al  rispetto  del  principio  dell'unita'  della
 giurisdizione,  che  la Costituzione accoglie come criterio direttivo
 suscettibile  di  subire  una  serie  di  deroghe   che   la   stessa
 Costituzione  introduce  laddove  prevede  giurisdizioni  della Corte
 costituzionale, del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi
 regionali, della Corte dei conti e dei tribunali militari.
   A differenza di quanto avviene per i giudici straordinari,  quindi,
 nulla  impedisce  che  si  abbiano  giudici speciali nel rispetto dei
 principi  generali,  compreso  il  principio  di  precostituzione,  a
 condizione   che   sia   la   stessa   costituzione  ad  autorizzarne
 l'istituzione e la conservazione;
     3) violazione dell'art. 106 Cost., che  indica  nel  concorso  lo
 strumento ordinario per la nomina dei  magistrati.
   Come  emerge  dai lavori preparatori dell'assemblea costituente, la
 scelta del concorso ha costituito il punto d'arrivo di  un  complesso
 dibattito  nel  corso  del  quale  sono  state  prospettate  tutte le
 possibili modalita' di assunzione dei magistrati,  in  rapporto  alla
 scelta  fondamentale, operata dall'art. 104, nel senso dell'autonomia
 ed  indipendenza,  rispettivamente,  dell'ordine  giudiziario  e  del
 giudice, quest'ultimo soggetto, ai sensi dell'art. 101, soltanto alla
 legge.
   Infatti,  attraverso  il  concorso risultano perseguiti due diversi
 obiettivi, entrambi essenziali  nel  sistema  di  garanzia  delineato
 dalla   costituzione   per  la  magistratura  e  di  cui  l'art.  105
 rappresenta la premessa: da una parte la  possibilita'  di  estendere
 l'accesso alla magistratura a tutti i cittadini, senza distinzione di
 condizioni   sociali,   ovvero  di  posizione  politica  o  religiosa
 attraverso un meccanismo che, nella sua oggettivita', e' in grado  di
 escludere  qualsiasi discriminazione; dall'altro l'accertamento della
 qualificazione tecnico-professionale, condizione necessaria, anche se
 non sufficiente, per l'esercizio delle funzioni giudiziarie.
   In questo senso deve ritenersi che la  scelta  del  concorso,  come
 ordinario  sistema  di assunzione dei magistrati, si pone in rapporto
 di strumentalita' con i principi posti dagli artt. 104 e  105  Cost.,
 secondo  cui  i  giudici  sono  soggetti  soltanto  alla  legge  e la
 magistratura costituisce un ordine autonomo e  indipendente  da  ogni
 altro potere.
   In  conseguenza  di quanto prevede deve affermarsi che i sistemi di
 nomina diversi dal concorso sono eccezionali,  eventuali,  ovvero,  a
 tutto  voler  concedere,  soltanto  integrativi  di  quello  previsto
 primario;
     4) violazione dell'art. 106, secondo comma Cost. per il quale  la
 legge  sull'ordinamento  giudiziario  puo' ammettere la nomina, anche
 elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni  attribuite  ai
 giudici singoli.
   Quindi  e' espressamente esclusa la possibilita' che il legislatore
 possa consentire  la  nomina  di  magistrati    onorari  destinati  a
 comporre   i   collegi   giudicanti,  ne'  tale  nomina  puo'  essere
 giustificata  come  gia'  fatto  dalla    Corte  costituzionale   con
 pronuncia  17  dicembre  1964,  n.  99,  invocando  la  temporaneita'
 dell'incarico, non   ricorrendo l'ipotesi di cui  all'art.  105  ord.
 giud.  di  mancanza  o  impedimento  di uno dei giudici necessari per
 costituire il collegio giudicante e non contenendo la  previsione  di
 cui all'art. 90, comma 5, legge n. 353/1990 alcuna determinazione del
 termine  di scadenza della disposta supplenza. Ne' detto termine puo'
 essere altrimenti desunto, non potendo  assolutamente  prevedersi  il
 tempo occorrente per l'esaurimento delle controversie civili pendenti
 alla data del 30 aprile 1995.
   Le  competenze  che  possono  essere  attribuite  a tali magistrati
 onorari sono limitate a quelle conferite  ai  giudici  singoli.  Cio'
 significa,  tenuto  presente  il  momento  storico in cui la norma e'
 stata prevista, nel  quale  la  rilevanza  del  giudice  singolo  era
 certamente  assai piu' limitata di quella attuale, che il legislatore
 costituente ha inteso attribuire una limitata  rilevanza  a  siffatto
 sistema di nomina, riservando alla competenza del giudice onorario la
 trattazione  della  cosiddetta  giustizia minore, nel presupposto che
 alla  magistratura  professionale  dovessero   essere   affidate   le
 questione di maggior rilievo;
     5)  violazione  dell'art.  97 Cost. secondo cui i pubblici uffici
 sono organizzati secondo disposizione di legge,  in  modo  che  siano
 assicurati il buon andamento e l'imparzialita' della amministrazione.
   Per i magistrati togati sono previste incompatibilita' territoriali
 e  familiari  che  non  risultano sancite per i magistrati onorari in
 questione ai quali,  inoltre,  e'  consentito  lo  svolgimento  della
 libera  professione  nello  steso circondario in cui essi svolgono la
 funzione giudicante.